Giu 17, 2021

Vino Dealcolato? Tra business e scempio

Tutto sulla polemica che impazza da settimane dopo la “scandalosa” proposta dell’Europa

Da settimane vanno avanti dibattiti e polemiche. Produttori e consumatori tra il perplesso, lo spaesato e lo spaventato, giustamente si chiedono: ma un vino senza alcol è ancora un vino? 

Tutto è partito con la proposta dell’Unione Europea, in parole povere, di mettere l’acqua nel vino per fare il cosiddetto “vino dealcolato”. Una proposta vista da molti come un duro attacco al made in Italy e a uno dei nostri prodotti di punta che ci invidia il mondo. 

Ma spieghiamo meglio: la dealcolazione è ammessa nella misura massima del 2% di alcool (il 20% del volume totale) attraverso due metodi fisici diversi. Queste tecniche vengono a volte usate durante le prime fasi di produzione ma solo su una piccola parte del vino che poi però viene unita nuovamente alla massa principale e lo si fa per abbassare leggermente la gradazione alcolica. 

Nel caso di un vino dealcolato, il procedimento si applica al vino in toto e il risultato è un qualcosa di molto diverso. Il vino è dato da un insieme di caratteristiche ed elementi che si bilanciano tra loro in modo armonico e un vino dealcolato perderà di sicuro qualcosa: struttura, aromi, non sarà più lo stesso insomma. Per riportarlo a un certo equilibrio bisognerà anzi aggiungere qualcosa, verosimilmente zucchero, e avremo un vino un po’ artefatto e lavorato. Un prodotto del tutto differente che però in alcuni mercati stranieri va anche bene e piace. 

Parliamo ad esempio degli Stati Uniti: secondo l’International Wine & Spirits Research il vino con poco alcol o addirittura senza crescerà costantemente negli Usa da oggi al 2024. “Fa meno male alla salute”, “ha meno calorie”, “è un bene ridurre il consumo di alcol”, tra le motivazioni che ne spingono il consumo in un Paese che cerca di guardare di più al benessere delle persone e alla lotta all’obesità. Ma il dealcolato non dispiace neppure ad Australia, Belgio, Gran Bretagna, Canada, Irlanda, Giappone, Olanda, Spagna, Svizzera e anche i cugini francesi non hanno protestato come noi italiani. 

Noi invece abbiamo alzato la testa di fronte a una proposta che ha di assurdo: si sono sdegnati produttori, enologi, consorzi, filiera, associazioni, e lo stesso ministro per le Politiche agricole, Stefano Patuanelli, ha detto più volte: “Ciascuno può produrre quello che vuole, basta che non lo chiami vino perché quello non è vino”. 

E così dovrebbe essere: si chiamino “bevande” o “vini senza alcol” ci si inventi una bella categoria anche con un nome accattivante, ma non si dica che quello è vino. Nessuno sottovaluta un settore che potrebbe portare soldi, avere un forte mercato di riferimento, incrementare tanto l’export, ma il vino è poesia e l’alcol è una parte importantissima di questa poesia che serve a comporre un insieme meraviglioso e armonico.

E allora…

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