Dic 05, 2021

Il Barolo che non ti dimentichi: Aurelio Settimo

Intervista a Tiziana: “Nei miei vini ricerco potenza, eleganza e freschezza”. Qualità. passione e tante vigne nel prestigioso cru Rocche dell’Annunziata

Quando ho provato per la prima volta il Barolo di Aurelio Settimo è stato amore al primo sorso. Quando poi ho parlato con Tiziana, la figlia di Aurelio che oggi porta avanti l’azienda, ho capito bene perché i loro vini sono così speciali e li ho amati ancora di più. Parliamo di tradizione, quattro generazioni (dal ’43), anche se è dagli anni ’60 che Aurelio decise di specializzarsi esclusivamente nella viticoltura e nel Nebbiolo da Barolo; e parliamo soprattutto di qualità, data in parte dalla meraviglia del territorio, in parte dalla competenza e dall’amore che ci mette Tiziana, continuando il lavoro di suo padre, e di tutti quelli che lavorano con lei. 

Siamo in Piemonte, nel comune di La Morra, e già questo ci fa capire la magia del posto, in frazione Annunziata, nel cuore di produzione del Barolo. Tutti i vigneti di Aurelio Settimo sono intorno alla cantina e l’azienda ha ben due esposizioni: quella Sud-Est in cui si produce Nebbiolo da Barolo e quella Sud-Ovest, con 3 ettari e mezzo nel prestigioso Cru Rocche dell’Annunziata. La cosa particolare è che la produzione vitivinicola di Aurelio Settimo è più concentrata sul Cru che sul Barolo Classico e il loro vino più rappresentavo è proprio il Barolo Rocche dell’Annunziata: ne potrebbero produrre 24mila bottiglie all’anno, mi dice Tiziana, ma molte delle loro vigne sono vecchie (la più giovane ha 7 anni, la maggior parte però va dai 30 a i 60 anni); e le vigne di una certa età danno produzione inferiore in quantità ma elevata in qualità.

“Le nostre vigne a Rocche dell’Annunziata godono di un microclima particolare – mi racconta Tiziana – sono a circa 270 metri sul livello del mare, protette, e il terreno in superficie è calcareo mentre a 2,5/3 metri in profondità abbiamo la marna blu che non assorbe acqua: questo conferisce ai nostri vini quel profumo di rose, di noce e quella particolare mineralità. Questo terreno ci dà veramente tanto, profumi particolari e floreali, di rosa fresca se i vini sono giovani, di rosa secca se sono affinati”.

E proprio questa mineralità è un po’ un credo e un marchio di famiglia da preservare. Tiziana ricorda le parole che le ripeteva sempre suo padre Aurelio: “Fai quello che vuoi in cantina ma ricordati di non perdere questa acidità naturale in maturazione, sennò ti perdi tutta la freschezza e la frutta del vino”. Da qui la sfida di conservare queste caratteristiche in ogni annata, anche in quelle più difficili. Tiziana mi ha fatto degustare il Barolo Rocche dell’Annunziata 2016 e il 2017 e incredibilmente si è detta più orgogliosa del secondo. Il 2016 a livello climatico è stata un’annata fortunata un po’ ovunque, la 2017 invece molto difficile, con gelate e venti freddi d’inverno e un’estate caldissima, e anche la zona de La Morra nonostante il microclima particolare ne ha comunque risentito. Da Aurelio Settimo però c’è una strategia ben precisa per le annate difficili, ecco il piano d’azione di Tiziana: “Io anticipo la vendemmia – mi dice – facendo continue prove delle uve in laboratorio con campioni specifici durante l’anno e usando tecniche agronomiche completamente diverse dalle altre annate: prediligiamo l’inerbimento e cerchiamo di proteggere l’uva dal calore eccessivo, il diradamento avviene tardi, verso agosto, facciamo in modo che le uve non vadano in sovramaturazione troppo velocemente e nonostante questo per l’annata 2017 ho raccolto le uve a metà settembre quindi circa 20 giorni prima del solito, perché facendo i vari campioni ci siamo accorti che gli zuccheri salivano, gli acidi scendevano e il Ph era giusto. Se avessi aspettato ottobre per la raccolta, avrei fatto dei Baroli ‘marmellatosi’, da 16 gradi, senza freschezza”.

Invece il 2017 è davvero da provare, sul 2016 lo avrei detto a occhi chiusi, morbido, avvolgente, caldo e speziato, ma la sorpresa mettendoli a confronto è stata tanta e ne ho apprezzato proprio la freschezza, la rosa e la viola presentissime, accanto all’eleganza. Sì, perché i Baroli di Aurelio Settimo sono morbidi ed eleganti, non hanno quel tannino duro che “spinge”; sono una vera carezza in bocca, profumatissima. “Io cerco la potenza ma molto anche l’eleganza – mi dice ancora Tiziana – a volte svino prima, tolgo semi e buccia per non avere tannini acerbi e finisco la fermentazione senza, a volte con residui zuccherini solo sul vino svinato, e questo penso di farlo solo io, anzi discuto spesso con i colleghi che non sono d’accordo; ma io valuto le mie vigne, la loro età, il mio terreno e sono convinta che in certe annate bisogna cambiare e valutare i problemi. Inoltre, il fatto che i miei vini siano eleganti non vuol dire che non durino nel tempo. Anzi. Stiamo facendo delle prove con Baroli del 1999 e del 2000 e hanno ancora delle freschezze paurose. Sfatiamo quindi il mito del Barolo che va bevuto per forza dopo 40 anni, possiamo berli anche un pochino prima. Certo ci sono delle annate per cui è bene aspettare un pochino di più – per esempio il nostro 2009 dopo 7-8 anni di bottiglia non era pronto, ora è fantastico –  ma non è detto che servano 20 anni per apprezzarlo”.

Ecco quindi il segreto: tanta competenza, conoscenza della propria materia prima, capacità di adattarsi e adattare il lavoro in vigna alle contingenze e tanta passione. Tiziana è riuscita ad affermarsi quando ancora le donne nel mondo del vino erano ben poche, oggi è conosciuta, rispettata e apprezzata e i vini della sua azienda sono amati in tutto il mondo: il 60% del Barolo di Aurelio Settimo viene infatti venduto all’estero, in tutta Europa e negli ultimi tempi soprattutto in Nordamerica e Canada. L’export va così bene che fa quasi fatica, dice, a vendere tutto quello che le chiedono. Ma il mercato estero è stato fondamentale durante i tempi più bui della pandemia, sono mancate per otto mesi anche le visite cantine, qualcosa a cui Tiziana tiene molto.  “Da papà ho anche imparato che il privato è il nostro consumatore finale, che va accolto in cantina, deve vedere e provare i nostri vini. Aprire alle visite è faticoso e ci dà tanto lavoro, abbiamo visitatori tutta la settimana ma io penso che sia importantissimo, è un altro approccio che noi piccoli, soprattutto, dobbiamo curare: è difficile, è vero, ma se si lavora bene ci si può organizzare, io ho una bella squadra e sono felice di dire che al momento siamo più donne che uomini, parliamo inglese e francese e qualcuna anche un po’ di tedesco. Ci teniamo molto a far vedere cosa facciamo, dove produciamo e a raccontare cosa c’è dietro i nostri vini”. 

Una filosofia che condivido in pieno e Tiziana mi conferma quello che sto vedendo sempre di più anche io: il numero delle visitatrici donne è sempre più alto, sono tantissime, preparate e curiose di sapere e imparare. E vogliono scoprire i segreti del suo Barolo, un vino che un tempo si diceva fosse più “da uomini”, oggi invece è amato davvero da tutti, specialmente se buono come questo.

E allora…

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