Ott 10, 2021

Michele Satta: il Bolgheri con un’anima e un’identità precisa

“Così rileggo le intuizioni di mio padre”.  Una chiacchierata con Giacomo Satta sulla vendemmia 2021, il mercato, i valori e i progetti della storica cantina 

Restare fedeli a un territorio, esprimerlo attraverso i propri vini ma con una propria identità, andando anche un po’ controcorrente, quando serve, per seguire il proprio credo. E’ questa sicuramente una delle carte vincenti di Michele Satta, storica cantina di Bolgheri. Una filosofia che ho conosciuto e apprezzato prima attraverso i loro vini, poi visitando l’azienda a Marina di Castagneto Carducci, dove ho visto con i miei occhi, ascoltato e degustato quello che fanno, e facendo una bella intervista a Giacomo Satta, uno dei figli di Michele che oggi lo affianca nel lavoro.

Ma iniziamo con un po’ di storia. Michele Satta viene da Varese e arriva in Toscana una po’ “per caso”, quando in vacanza con la famiglia, da poco iscritto ad Agraria, accetta una proposta di lavoro in una fattoria locale dove impara e si appassiona all’agricoltura a 360 gradi. Passa il tempo e si mette in proprio, prende in affitto vecchie vigne e relativa vecchia cantina. Fa la sua prima vendemmia nel 1983 e da allora partecipa in tutto e per tutto alla storia di Bolgheri: la DOC viene fondata nel 1984. La prima vigna Michele la pianta nel ’91, poi acquista i terreni che ritiene perfetti per il suo vino e il resto è storia. Con lui sempre la moglie Lucia da cui ha avuto sei figli: Giacomo, l’unico maschio, continua la tradizione di famiglia insieme a Benedetta.

Entrando nella loro cantina si respira subito aria di “casa” e di grandissima attenzione alla terra e ai suoi frutti. Una terra particolarissima quella di Bolgheri, grazie a tanti fattori positivi uniti insieme: la vicinanza del mare, le estati assolatissime, la brezza marina, le colline alle spalle, il terreno ricco d’acqua e fertilissimo, insomma un posto unico che dà vini eccellenti. Ma se a Bolgheri, anche seguendo la linea dei celebri Sassicaia e Ornellaia, la via maestra era quella di coltivare soprattutto Cabernet Sauvignon e Merlot, Michele Satta ha voluto dedicare grandissima attenzione anche a due uve che amava molto: Sangiovese e Syrah. Me lo ha raccontato Giacomo, spiegandomi come oggi cerca di proseguire il percorso del padre ma con una sua interpretazione.

E’inevitabile doversi inserire in un contesto preciso, in una storia ben chiara e nota come quella di mio padre che fa dei vini Bolgheri ma con una personalità elevatissima – ha detto Giacomo – le sue scelte anni fa non sono state dettate solo dal mercato o dai giornalisti, lui ha preso le sue decisioni in base a quello che amava: ha voluto puntare su Sangiovese e Syrah che gli piacevano molto – oggi il loro Marianova è un blend in parti uguali di Syrah e Sangiovese, il primo Bolgheri Superiore senza uva bordolese in blend, fanno anche un Syrah  100% e un Sangiovese 100%, il Cavaliere – io oggi gestisco tutto non modificando i suoi vini ma facendoli sempre più miei, con le mie interpretazioni. Ad esempio il Piastraia (Bolgheri Superiore DOC: Merlot, Syrah, Sangiovese, Cabernet) sto cercando di renderlo un pò più vicino alla storia di Bolgheri quindi più concentrato su Cabernet e Merlot; l’anno scorso ho anche piantato un ettaro di Cabernet Franc, varietà presente a Bordeaux e molto presente anche a livello internazionale, a Bolgheri c’è anche in purezza quindi attingo alla storia e al contesto in cui sono, senza mai rinunciare alla mia lettura del mondo vitivinicolo. Non avrebbe senso fare solo vini nuovi eliminando la storia, io ho ereditato, non invento, ma rileggo questa storia”.

Molto particolare dei vini di Satta anche il Bolgheri Rosso DOC: Cabernet 30%, Sangiovese 30%, Merlot 20%, Syrah 10% e Teroldego 10%. Un blend insolito con quest’ultimo vitigno. “E’ stata una bizzarria del mio babbo – mi ha spiegato ancora Giacomo – negli anni ‘90’ al contrario dell’entusiasmo sui vitigni bordolesi ha voluto recuperare un po’ di identità, perché sentiva il rischio di fare vini ‘scontati’ e un po’ anarchicamente anziché Petit Verdot ha voluto piantare un vitigno italiano. Un’uva che risponde benissimo al clima, che cresce in luogo caldo e soleggiato. Il Teroldego è una varietà che vuole sole e calore e si trova bene qui in Toscana; è un’uva interessante per chi fa i tagli, è una sicurezza in termini di struttura ed estrazione”

Giacomo Satta, sotto con Michele

Passando ai bianchi, ho apprezzato il Giovin Re, 100% Viognier, e soprattutto il Costa di Giulia Bolgheri Bianco DOC: Vermentino 65% e Sauvignon 35%, un vino che inizialmente era stato pensato diversamente. “Era  nato come Vermentino in purezzaha raccontato Giacomoera la tendenza di quegli anni, ma Michele non era soddisfattissimo di quest’uva che io definisco ‘simpatica’, salata e con spunti di salvia e rosmarino, ma non complessa. Mio padre lavorava anche con Ornellaia come agronomo e lì conobbe il Sauvignon Blanc che veniva usato in purezza per fare il Poggio alle Gazze; nacque così l’idea, condivisa anche con i tecnici di Ornellaia che appoggiarono la sua intuizione, di accostarlo al Vermentino per avere un fine bocca più lungo, fresco, teso. Decise di innestarlo allora nel vigneto Costa di Giulia e da lì è rimasto sempre come taglio e devo dire che gli dà un’anima. Io mi ci sto davvero dedicando tanto, sto approfondendo questa varietà, il Sauvignon Blanc è particolare, lo si può rendere molto complesso o banalizzarlo, dà grande soddisfazioni”. E mi ha rivelato: “Per l’ultima annata ho usato il 40%, quest’anno è un bellissimo Sauvignon Blanc e sono attirato dall’alzare la percentuale, dà davvero una grande personalità al vino”.

Quello che colpisce a Bolgheri è anche la solidarietà tra i produttori che si sostengono a vicenda, si confrontano, collaborano, uniti nel far crescere sempre di più la denominazione già famosa in tutto il mondo. E Giacomo lo ha confermato.  “Io come seconda generazione non voglio dire: bevete il mio e non quello del mio vicino, io voglio che il consumatore apprezzi Bolgheri e capisca cosa è Bolgheri, comprenda il territorio; certo poi da Satta c’è la mia identità e l’appassionato di vino può trovare le mie scelte nella nostra cantina. L’identità è un valore importantissimo nel vino, il vino è cultura ed è bello approcciarsi a un assaggio anche con quest’ottica; il vino appartiene alla storia e alle tradizioni profonde e io cerco di fare questo, portare nel calice il mio territorio ma anche tutta la mia visione culturale”. 

E la vendemmia 2021 anche da Satta si prospetta interessante, nonostante l’annata difficile dal punto di vista climatico che ha inciso in tutto il Paese sulla quantità in lieve calo.  “Fortunatamente Bolgheri per la vicinanza al mare mitiga un po’ gli effetti del clima, qualche perdita c’è stata ma le quantità si sono anche riequilibrate perché l’inverno è stato molto piovoso e Bolgheri è un grande serbatoio d’acqua quindi non abbiamo avuto problemi di siccità gravi.  È stata una bella annata soleggiata e con temperature molto calde, importante per la maturazione dell’uva che si compie bene, per il momento ho belle cose ma non amo sbilanciarmi, diciamo che sono soddisfatto”. Possiamo aggiungere qualche dettaglio? In estrema sintesi ha risposto così: “C’è qualche problemino di raggiungimento della maturità per il Sangiovese, che è delicato e risente degli estremi climatici, mi sembra di avere Syrah molto interessanti, varietà che vinifico con i raspi al 30%, faccio un lavoro molto minuzioso negli ultimi anni sulla complessità aromatica e sono molto molto soddisfatto. Inoltre, i Cabernet stanno finendo le fermentazioni, sono ancora dolci, i Merlot mi sembrano regolari, i bianchi molto bene”.

Insomma le premesse sono buone e anche la pandemia non ha influito drammaticamente da queste parti. “Noi siamo del mondo del vino fortunato, in una denominazione trainante, e in un’azienda con tanti anni alle spalle. Nel 2020 c’è stato un calo, perché il mondo si è fermato, quest’anno è andata molto meglio, tra le riaperture, la ripresa delle attività e la parte di turismo in cantina che è andata benissimo: sono felice che non si vada più in cantina solo per fare l’aperitivo con un calice di vino e una fetta di pane e olio ma che la gente vada alla ricerca della visita accurata con una narrazione, è una modalità che interessa sempre di più. E’ bello che il mondo del vino sia in continuo fermento ed è bello in questo fermento avere un messaggio chiaro da dare, una propria identità da esprimere”. In bocca al lupo allora.

E allora…

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