Una panoramica sui rosati fermi o in versione bollicina
Sentiamo sempre più parlare dell’exploit del vino rosè. Complice l’estate, le bevute al mare, le cene tra amici con il vino che piace un po’ a tutti, fresco e delicato, e complici le aziende che seguendo il trend propongono sempre più versioni in rosa – ferme o spumantizzate -, i dati parlano di un forte incremento: l’Osservatorio mondiale dei rosati stima un aumento del 50% del suo consumo a livello mondiale entro il 2035.
Ma come si fail rosè? Lo ammetto, forse come tutti i profani del vino anche io un tempo pensavo che i rosati si producessero assemblando vini rossi e bianchi, ma non è assolutamente così se non con un’eccezione di cui a breve vi parlerò.
Andiamo con ordine: il vino rosè si produce partendo da uve a bacca a rossa che vengono vinificate in bianco, ovvero con lo stesso procedimento che si segue per produrre i bianchi. Il colore e la sua intensità dipendono dal tempo di macerazione. Le bucce e i vinaccioli (i semi) vengono fatti macerare nel mosto come si fa per il vino rosso, ma per un tempo brevissimo: per i vini rosati si usa anche parlare di vini di un giorno e di una notte in base al tempo in cui il mosto rimane a contatto con le bucce che non supera i due giorni e spesso è meno. Poi il mosto viene separato dalla parte solida e continua il suo processo di fermentazione come si fa per i bianchi.
C’è anche un altro metodo, quello dei “rosè de saignée” prodotti tramite “sanguinamento” o “salasso“. Viene prelevata una certa quantità di mosto dalla vasca di macerazione di un vino rosso ottenendo un doppio risultato: la parte prelevata viene vinificata in bianco e diventa un rosato, la parte che rimane è un rosso bello corposo e intenso perché le bucce restano a contatto con una minore quantità di mosto. L’eccezione di cui parlavo, l’assemblaggio di un bianco e di un rosso, è ammessa solo per la produzione di spumanti metodo classico: solitamente le uve in questione sono Chardonnay o Pinot nero vinificato in bianco insieme a uno rosso come il Pinot nero.
I rosè più famosi? In Italia quelli del Salento da uve Negramaro, molto apprezzato anche il Cerasuolo d’Abruzzo da uve Montepulciano e il Bardolino Chiaretto dalle stesse uve del Bardolino e della Valpolicella (Corvina, Rondinella e Molinara). Ultimamente anche in Sicilia c’è un’esplosione di rosati da Frappato e Etna rosato da Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio; in Francia, oltre alla zona dello Champagne, con Pinot Noir e Pinot Meunier, tra le regioni più vocate “al rosa” c’è la Provenza, con vini a base di uve Syrah, Grenache e Cinsault. Il mio preferito? Sicuramente il rosè in versione bollicina. Sono una 100% Pinot Nero lover.
E allora…